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domenica 25 maggio 2014

Nicole Dark - 25 maggio 1895 Lo scrittore Oscar Wilde fu condannato per sodomia e volgare indecenza. A due anni di carcere e ai lavori forzati.




“La nostra amicizia, nata male e tanto deplorevole, è finita con la rovina e con la pubblica infamia per me, eppure il ricordo del nostro antico affetto mi fa spesso compagnia, e mi riesce così triste, così triste il pensiero che l’astio, l’amarezza, il disprezzo debbano prendere per sempre il posto dell’amore nel mio animo[…]”



Le poche righe sopra riportate sono tratte dal De Profundis, la lettera che Oscar Wilde scrisse per il compagno Alfred Douglas. Il 25 maggio 1895 il poeta e scrittore irlandese venne condannato al carcere per omosessualità dichiarata. Le sue opere, apparentemente semplici, celavano un gran quantitativo di significati nascosti e spunti per intense riflessioni, supportate da paradossi ed aforismi. Lo scritto dedicato all’amato è colmo di molteplici indicazioni sul tema dell’amore in ogni sua forma, sessualità e delusione. L’artista era passato dai successi letterari alle sconfitte della vita, dettate dal coraggio di esprimere chiaramente le proprie tendenze sessuali.

Fosse vissuto oggi, Wilde avrebbe potuto tranquillamente fare outing e magari guadagnarci qualcosa attraverso interviste, prime pagine sui giornali, copertine delle maggiori riviste di gossip, oltre a rappresentare un esempio per i tanti omosessuali che temono di mostrarsi al mondo per quello che sono realmente. Le polemiche e le offese non sarebbero mancate: più la società si evolve, maggiore è il rischio di incappare in episodi di stampo razziale e denigratorio. Il carcere, almeno quello, sarebbe stato sventato, mentre così non fu da quel 5 di aprile, giorno in cui Oscar Wilde iniziò la sua reclusione, venendone fuori dopo 2 anni.

Bosie, nomignolo di Sir Douglas, era il figlio minore del marchese di Queensberry. L’incontro con Oscar avvenne in modo fortuito, dovendo chiedere la sua intermediazione per coinvolgere l’avvocato George Lewis nella risoluzione di una vicenda relativa ai ricatti che il giovane rampollo riceveva. Di lì in poi, il ragazzo dalla pelle chiarissima e dai capelli biondi iniziò a mostrare un certo interesse per il poeta maledetto che, in breve tempo, ricambiò: nacque un amore. 
L’oppressione familiare di Alfred si ripercuoteva sulla sua voglia di libertà negli affetti, comportamento diametralmente opposto rispetto alla riservatezza voluta dal saggista nato in Irlanda. E dato che “le apparenze, spesso, ingannano”, espressione decisamente adatta per il loro amore controverso, le sfide e le umiliazioni reciproche, ben presto, divennero vere e proprie azioni di ripicca aprendo una sorta di sfida tra chi riusciva ad accompagnarsi al maggior numero di uomini, presi dal mondo della prostituzione. Incontri, lettere e minacce si intersecarono rapidamente, facendo giungere all’orecchio delle autorità la vita nascosta (ma non troppo) del letterato e del minuto riccone. Anche altre figure vennero coinvolte, ma fu Wilde a pagare per tutti, considerato l’unico ad aver violato il Criminal Law Amendment Act, l’emendamento che puniva gli uomini che praticavano atti sessuali tra loro.

Il padre di Dorian Gray aveva avuto numerose avventure, quasi sempre platoniche, creando scandalo più per la sua notorietà che per colpe reali. Il vuoto che gli lasciò l’abbandono di Alfred Douglas è paragonabile all’addio del vero amore, più volte ravvivato da tentativi di riavvicinamento, capendo troppo tardi di aver prolungato solo e soltanto la loro sofferenza.

Durante lo sconto della pena dovette lavorare 6 ore al giorno, dormire senza materasso, subire atti di violenza e malnutrizione, senza dimenticare malattia ed insonnia. Una volta uscito, tentò di recuperare il tempo perduto, ma finì per dissolvere la sua aura di onnipotenza: libertà, incontri con Bosie e altri uomini a Napoli, povertà, fino alla morte parigina, il 30 novembre 1900.

Sul letto di morte e, ancor prima, nel De Profundis, aveva giustificato la sua degenerazione con la mancata conversione al cattolicesimo, negatagli dal padre. Allora, come oggi, il buon senso riconduce l’omosessualità alle sensazioni del proprio intimo e non alla presenza o meno di fede. La presenza di un’entità superiore è motivo di speranza ed orgoglio per chiunque, senza distinzione alcuna, e spetta ad Essa il diritto di scindere il bene dal male, il normale dal diverso.
Ad Essa e a nessun altro.


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